LOGAN ASSUME TUTTI I VOLTI DELL'EPOS AMERICANO IN UN WESTERN CREPUSCOLARE CHE CHIUDE IL SIPARIO SU UNO DEI SUPEREROI PIÙ AMATI IN ASSOLUTO.
Forse era una scelta inevitabile, ma di certo James Mangold l'ha affrontata con il coraggio e l'ambizione che il titolo meritava. Logan, a partire dal titolo che non presenta né la lettera X né la parola Wolverine, è un film di supereroi che fa di tutto per non essere un film di supereroi.
L'intento è di esaltare il lato umano degli stessi: perché Wolverine si diventa, ma Logan si nasce (e si muore). Sono sufficienti poche inquadrature per capire che il tema sarà crepuscolare. Ma Mangold - che fu regista non a caso del malinconico Copland - fa di più, confeziona un autentico inno al western crepuscolare, con tanto di citazione esplicita da Il cavaliere della valle solitaria e della struggente Hurt - il testo del brano calza a pennello su questo Wolverine - cantata da Johnny Cash. Ma come quei whisky invecchiati, distillati allo stesso modo da decenni, la soluzione funziona ancora. L'importante è crederci, metterci un pizzico di fede. E James Mangold, sottovalutatissimo regista di Identità (ossia Split 13 anni prima), in Logan ne mette fin troppa.
Nessun commento:
Posta un commento