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sabato 14 novembre 2015

LA LINEA DI SEPARAZIONE TRA CINEMA E TEATRO

La linea di separazione tra cinema e teatro



Mettendo a confronto cinema e teatro siamo costretti  a riconoscere nella gioia che ci lascia il secondo, a chiusura di sipario, un nonsoché di maggiormente nobile, quasi che se ne riesca a trarre una maggiore coscienza. Da questo punto di vista si potrebbe dire che ai migliori film manchi qualcosa, una certa scarica tensoria che invece possiede il palcoscenico. All'origine del disincantamento che segue il film si potrebbe certamente individuare un processo di spersonalizzazione dello spettatore. Lo spettatore di cinema tende ad identificarsi con il protagonista per un processo psicologico che ha per conseguenza di costituire la sala in folla e di uniformare le emozioni. Prendiamo l'esempio abbastanzaa significativo delle donne sul palcoscenico e sullo schermo. Sullo schermo la loro apparizione soddisfa delle aspirazioni sessuali inconsce e quando il protagonista viene a contatto con loro soddisfa il desiderio dello spettatore nella misura in cui questi si è identificato con il protagonista. Sulla scena le ragazze destano i sensi dello spettatore come lo farebbe la realtà. Non si produce perciò l'identificazione con il protagonista, il quale diviene oggetto di gelosia e di invidia. Tarzan, insomma, non è concepibile che al cinema. Il cinema placa lo spettatore, il teatro lo eccita. Il teatro, anche quando fa appello agli istinti più bassi, impedisce fino ad un certo punto la formazione di una mentalità di folla, ostacola la rappresentazione collettiva nel senso psicologico, in quanto esige una coscienza individuale attiva, mentre il film non chiede che un'adesione passiva. Queste considerazioni gettano una nuova luce sul problema dell'attore. È nella misura in cui il cinema favorisce un tale processo di identificazione che si oppone al teatro. Così posto il problema non sarebbe più radicalmente insolubile, giacché è noto che il cinema dispone di procedimenti di messa in scena che favoriscono la passività o al contrario eccitano più o meno la coscienza. Inversamente, il teatro può cercare di attenuare l'opposizione psicologica fra lo spettatore e il protagonista. Teatro e cinema non sarebbero dunque più separati da un abisso estetico insuperabile ma tenderebbero solamente a suscitare due atteggiamenti mentali su cui i registi mantengono un vasto controllo. Ad un'analisi più accurata, il piacere teatrale non si opporrebbe solo a quello del cinema ma anche a quello del romanzo. 
Il teatro si costruisce sulla coscienza reciproca della presenza dello spettatore e dell'attore, ma ai fini della recitazione. Esso agisce in noi attraverso la partecipazione ludica ad un'azione, attraverso la ribalta e come sotto la protezione della sua censura. 
Al cinema, al contrario, restiamo dei contemplatori solitari, nascosti in una camera oscura, attraverso delle persiane socchiuse, di uno spettacolo che ci ignora e partecipa dell'universo. Niente viene ad opporsi alla nostra immaginaria identificazione al mondo che si agita davanti a noi, che diviene Il Mondo. Non è più sul fenomeno dell'attore, in quanto persona fisicamente presente che si ha interesse a concentrare l'analisi, ma sull'insieme delle condizioni della recitazione teatrale che strappa allo spettatore la sua partecipazione attiva. Vedremo che si tratta allora molto meno dell'attore e della sua presenza che dell'uomo e della scenografia. 
di Gherardo Fabretti

lunedì 2 novembre 2015

Pier Paolo Pasolini, “Salò” restaurato torna al cinema. La manipolazione del potere sui corpi e sulle menti


Il 2 novembre torna in 65 sale italiane "Salò o le 120 giornate di Sodoma", il capolavoro dell'intellettuale ucciso quarant'anni fa. Una versione restaurata da L'immagine ritrovata, Cineteca di Bologna e Csc. Nel crepuscolo del fascismo, un manipolo di potenti fa rapire un gruppo di ragazzi e ragazzi per sottometterli a umiliazioni sessuali e psicologiche. Beatrice Banfi, segretaria di edizione: "Mi capitò nonostante la finzione di provare grande pena per le vittime. L’atmosfera era di grande tristezza”

“La ragione profonda che mi ha spinto a fare il film, io credo, è il vedere proprio ciò che oggi il potere fa alla gente. Cioè la manipolazione totale, completa che il potere sta facendo delle coscienze e dei corpi della gente”. “Salò o le 120 giornate di Sodoma” 40 anni dopo. Torna al cinema il 2 novembre, nel giorno della ricorrenza della morte di Pier Paolo Pasolini sul litorale diOstia, l’ultima pellicola dell’artista maledetto, osannato e rimpianto del Novecento italiano che esordì nel gennaio 1976 e che fu subito censurata dalle autorità. Nelle 65 sale sparse per l’Italia (in alcune si potrà vedere anche per i restanti giorni di novembre) Salò verrà mostrato nella versione restaurata dal laboratorio deL’Immagine Ritrovata della Cineteca di Bologna a dal Cscper la durata di 116 minuti, preceduto dai cinque minuti deL’intervista sotto l’albero di Gideon Bachmann a Pasolini sul set del film, messa a disposizione dagli archivi di Cinemazero di Pordenone.

Fu il film dello scandalo e della censura, “Salò o le 120 giornate di Sodoma”: anno 1975, produzione di alta fattura – Alberto Grimaldi per Pea -, cast tecnico di incredibile pregio (fotografia,Tonino Delli Colli; scenografia: Dante Ferretti; costumi:Danilo Donati; consulente musicale: Ennio Morricone) e uno script tratto dal celebre romanzo del Marchese de Sade proposto dal produttore Cesare Lanza su idea del press agent Enrico Lucherini prima a Pupi Avati e Claudio Masenza, poi finito nelle mani di Pasolini. Per chi non avesse ancora visto il film ricordiamo che Pasolini rievoca “la mercificazione del corpo umano che de Sade descrisse e Marx teorizzò, codificata in un orrore palpabile”, spiega Bachmann, il fotografo e critico amico di Pasolini. “Tutto è rappresentato in modo da spingere lo spettatore all’interno dell’inferno pasoliniano: l’annientamento del sentimento, della psiche, del dramma, delle interazioni umane, delle naturali funzioni fisiche, dei valori sociali”.
E’ il 1944-45 e siamo nella campagna dell’Italia settentrionale. Nel prologo, Antinferno, quattro autorità repubblichine – il Duca, il Vescovo, il Presidente di Corte d’Appello e il Presidente della Banca Centrale –, riunite a Salò incaricano le Ss e la milizia di rapire un gruppo di ragazzi e ragazze. Dopo avere selezionato i più avvenenti, si chiudono con loro in una villa nei pressi di Marzabotto, presidiata da un manipolo di soldati. Impongono per centoventi giornate le leggi crudeli di un regolamento che sottomette i ragazzi a ogni genere di violenza sessuale e psicologica. Tre ex prostitute e una pianista accompagneranno gli ‘intrattenimenti’ raccontando le proprie esperienze sessuali nella Sala delle Orge. Di orrore in orrore, di efferatezza in efferatezza, si susseguono così tre gironi infernali di stupri, umiliazioni e sevizie: i Gironi delle Manie, della Merda e del Sangue, dove vengono designate le vittime dello sterminio finale.
Ogni barriera spettatoriale cade di fronte a Salò: visto 40 anni fa, vent’anni fa in vhs e rivisto oggi in dvd.  Da Salò ci si deve necessariamente distanziare, mentalmente e psicologicamente, bisogna uscirne dopo averlo visto per poterlo osservare oggettivamente. Perché Pasolini fu in grado di mostrare l’abisso della crudeltà, l’umiliazione dell’uomo come nessun sadico film horror ha mai messo in scena nemmeno nel gore anni Ottanta. In primo piano, visivamente, lo spaesamento antierotico del sesso usato come metafora del potere con le singole asettiche inquadrature di un film algidamente perfetto nel limare ogni appiglio morale di salvezza per i protagonisti. La società dei consumi che mercifica i corpi, che non permette riflessione, alternativa, condanna e ribellione – i pochi gesti di rivolta come il pugno chiuso, il suicidio e il ballo finiscono per risultare vani e buffi – è immodificabile e truce. “Ogni scena è un’aggressione. Ci troviamo di fronte alla brutalità nuda e crudele”, scrisse Bachmann su Sight and Sound.
“Ricordo che Pier Paolo quando iniziammo a girare “Porcile” nel 1969 non sapeva nemmeno cos’era uno scavalcamento di campo e spesso lo commetteva senza pensarci. Poi in “Salò” fu tutto perfetto, Pier Paolo non sbagliò nulla”, ricorda a FQMagazine Beatrice Banfi, segretaria di edizione di “Salò” e di numerosi film di Pasolini. “Fu un set difficilissimo, un’esperienza eccezionale. Mi capitò più volte nonostante la finzione di provare grande pena per le vittime. Oltretutto girammo alla fine di un inverno molto freddo e l’atmosfera era di grande tristezza”. Le riprese del film ebbero luogo dal 3 marzo al 9 maggio del 1975 a Villa Zani (Villimpenta), Villa Bergamaschi (Ponte Merlano), Gonzaga (provincia di Mantova), Gardelletta (frazione di Marzabotto), Villa Siliprandi (Cavriana), Villa Aldini e San Michele in Bosco (Bologna) e a Villa Sorra (Castelfranco Emilia); infine a Roma presso il teatro n. 15 di Cinecittà. “Negli altri film fatti insieme Pasolini era più felice, sul set di “Salò” era molto tetro. So che lo dicono tutti, ma non posso che confermarlo: sembrava percepire cosa di lì a poco gli sarebbe accaduto – continua Banfi – E’ un film senza tempo che mostra ieri come oggi la brutalità del potere. Siamo tutti sudditi, queste immagini mi ricordano quelle dei migranti che muoiono in mare”.

lunedì 3 agosto 2015

VASCO ROSSI (E TUTTI GLI ALTRI) ALLA MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA: IL LIDO SI DÀ AL ROCK

Sarà un'edizione all'insegna della musica - e del rock - la settantaduesima della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia (che inizierà il prossimo 2 settembre nella classica location del Lido di Venezia). Sono infatti in programma molti ospiti, proiezioni ed eventi strettamente legati all'universo musicale.
Come riporta "Repubblica", a livello di pellicole, sarà possibile visionare "A bigger splash" di Luca Guadagnino, film in concorso con Tilda Swinton (nei panni di una rock star in crisi) e Ralph Fiennes - che interpreta il ruolo di un discografico che ha prodotto i Rolling Stones. La colonna sonora pare sia ricca di sorprese, fra brani minori e rarità degli Stones e pezzi di altre star di fama mondiale.
Sarà anche proiettato il documentario "Janis", ovviamente dedicato alla tragica figura della talentuosa Janis Joplin. Diretto dalla statunitense Amy Berg, il documentario vanta l'approvazione ufficiale della fondazione intitolata alla Joplin e, nella colonna sonora, vede l'utilizzo di due dei successi maggiori dell'artista scomparsa a soli 27 anni: "Cry baby" e "Piece of my heart". Nel progetto, inoltre, è coinvolta (in qualità di voce narrante), anche la cantautrice Cat Power - che leggerà le lettere di Janis.
La vedova del grande rocker Lou Reed, la cantautrice Laurie Anderson, sarà a Venezia in qualità di regista del film "Heart of a dog", una pellicola dolorosissima incentrata sul concetto della perdita e - ovviamente - influenzato dalla morte di Reed.
Un altro film a tema musicale - anche se in modo decisamente più tangenziale - è "Marguerite" di Xavier Giannoli, che racconta la vicenda (reale) del "soprano peggiore del mondo", ossia la signora Marguerite, ricca dama degli anni Venti convinta di possedere una voce celestiale - ma invece era tragicamente stonata. Nonostante ciò si imbarcò in una carriera da soprano esibendosi nei più prestigiosi teatri.
Infine la Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica omaggerà anche il rock made in Italy - e lo farà alla grande. Il Lido infatti ospiterà nientemeno che Vasco Rossi l'1 settembre prossimo: in questa occasione il rocker di Zoccaincontrerà i suoi fan e racconterà la sua passione per la settima arte (nell'ambito di una rassegna battezzata "Cinema in giardino"). In contemporanea sarà proiettato il documentario di Fabio Masi "Vasco decalogo", ovviamente dedicato al Komandante. Questa non sarà la prima volta di Vasco a Venezia, visto che è già stato ospite della manifestazione nel 1996 (quando presentò il video di "Gli angeli", diretto da Roman Polanski).

lunedì 27 luglio 2015

Dalle passerelle al grande cinema: i 47 anni di Maria Grazia Cucinotta

Messinese, attrice, produttrice e regista, oltre che modella, Maria Grazia Cucinotta nasce a Messina il 27 luglio 1968. Conosciuta nel mondo per aver recitato ne «Il postino», al fianco di Massimo Troisi, il grande attore napoletano che per primo le diede fiducia con un ruolo intenso e indimenticabile. Facendo di lei una delle attrici più amate dal grande pubblico 
Maria Grazia Cucinotta (Messina27 luglio 1968) è un'attriceproduttrice cinematograficaregista e modella italiana[1].
È conosciuta internazionalmente per la sua partecipazione, accanto a Massimo Troisi, al film italiano Il postino e per essere comparsa nel film di 007 Il mondo non basta.
Negli Stati Uniti è nota anche per le sue esperienze come produttrice (ad esempio in All the Invisible Children e Last Minute Marocco).

martedì 21 luglio 2015

Why Sam Mendes Thought Daniel Craig As James Bond Was A Terrible Idea

After playing cinema’s most famous secret agent for nearly a decade, the legacy of Daniel Craig as one of the best James Bonds  is certainly already cemented. However, back in the day his casting was initially met with pessimism from certain segments of the fanbase. Interestingly enough, Sam Mendes, the director of the series’ upcoming entry, Spectre, reveals that he also thought Craig was wrong for the role.

In an interview with The BBC, Mendes looks back on a rather fascinating change of opinion going back to the initial proposal within industry circles that Daniel Craig was inheriting the James Bond mantle from Pierce Brosnan. With snarky memes referring to Craig as "James Blonde" after it went public, the proposal was not widely seen as an auspicious acquisition, a sentiment that Mendes, who even had a working history with Craig, once shared. As he explains:
I had cast Daniel Craig in this film I made in Chicago called Road To Perdition about 15 years ago, and it was his first big American film. The role of Bond came up four or five years later and I was called by Entertainment Weekly, a showbiz publication, and they said 'your old friend and collaborator Daniel Craig has been suggested as Bond, what do you think?' and I said 'terrible idea – he shouldn't do it'. For me at the time I thought Bond had become the opposite of what Daniel is – a slightly disengaged, urbane jokey eyebrow-raising, you know, a pastiche in a way, and I felt Daniel's reality and his passion and honesty as an actor would not work.
It turns out that Mendes’ doubts were more of a testament to his respect for Craig, who performed in his 2002 directorial effort, Road to Perdition. He believed that the flat, living caricature into which the James Bond character had devolved by the end of Brosnan’s tenure left the role as something that did little to elevate Craig as an actor. While Brosnan had proven himself to be a great portrayer of Bond, the series, by 2002’s Die Another Day, had become a juvenile and superficial showcase of pseudo-technology and plot points that were equally nonsensical. Thus, it was hardly the kind of platform that he wished to see his former collaborator showcase his acting talents.

Fortuitously enough, Craig saw the potential in the script adapting Ian Flemming’s very first James Bond story, Casino Royale. With the directorial talents of Martin Campbell returning to franchise after having impressed with Brosnan’s debut in 1995’s GoldenEye, Craig’s coming out party with Casino Royale in 2006 was a success. The film was a much-needed gritty, action-infused reinvention of the franchise. Likewise, the powerful, angst-filled, tragedy-prone presence of Craig’s rendition of the high-rolling, martini-sipping globe-trotter with a license to kill silenced most of the initial doubters. Mendes openly counts himself as one of those folks who now stand corrected on that particular point.

After providing the James Bond franchise a bit of a thematic upgrade of his own with the celebrated, $1 billion-earning Skyfall in 2012, Sam Mendes is spending his days putting the final touches on what he claims will be his last Bond effort with Spectre. With the title providing all the indication one needs, it’s clear that this next film will be a game-changing moment for Craig’s tortured Bond, as he will come face-to-face with a modernized take on the classic killer cabal and its yet-to-be-revealed mastermind.

Spectre will see Daniel Craig’s James Bond use one of Q’s fancy gadgets to slash away at the sinister tentacles of the titular organization when it hits theaters on November 6. 

giovedì 16 luglio 2015

Il cinema italiano vivacchia e aspetta il ritorno del salvatore della patria, Checco Zalone

Come sta il cinema italiano? Meglio gettare la maschera e chiederci esplicitamente: “Checco-sa vogliamo?”. Semplice: Zalone. Nel 2014 non c’è stato un Sole a catinelle a issarsi sulle spalle il comparto, e il box office abbandonato da Checco ha pianto miseria. Nulla di drammatico, perché il Nostro fa film comici e perché c’era da aspettarselo: senza i film-evento la gente al cinema non va, si è persa l’abitudine, oggi serve l’occasione, altrimenti streaming, download (più o meno legali) e social network rappresentano validissime alternative al theatrical. Che serve? Uno Star Warssotto l’albero (l’attesissimo Il risveglio della forza diretto da J.J. Abrams, in uscita il 16 dicembre) oppure un Jurassic World, che ha già rastrellato un miliardo e 470 milioni di dollari in tutto il mondo (14 milioni di euro da noi): film, anzi, filmoni catalogabili nei blockbuster e, prima, annoverabili nei must-see, quelli che tutti, ma proprio tutti devono vedere.
In attesa del promesso salvatore della patria – Quo vado? di Zalone arriverà il 1° gennaio 2016 con Medusa – possiamo però incassare timidi segnali di ripresa nel primo semestre 2015: da gennaio a giugno, più di 51 milioni di spettatori, con una crescita del 5% sul 2014, e oltre 330 milioni di euro, con un incremento del 9,4% (Cinetel). Non solo, come appena svelato a Ciné, i distributori dell’Anica e gli esercenti di Anec e Anem possono contare su un mese di giugno ringalluzzito: 5 milioni di presenze, uno in più dello scorso anno (+23,7%), e più di 32 milioni di incassi, con uno scarto positivo di oltre 8 milioni di euro (+35%). Insomma, una timida schiarita la si intravede, ma ci possiamo fidare? A giudicare dal 2014, no: 574.839.395 euro l’incasso globale, che segna un -7,04% sul 2013 e un -5,69% sul 2012; 156 milioni di spettatori contro i 188 del 2013 e i 153 del 2012. Flessioni pesanti, parzialmente attenuate se, anziché questi dati Cinetel (1.065 cinema monitorati), consideriamo i 5.100 schermi del rilevamento SIAE: -4,95% gli spettatori e -4,5% gli incassi del 2014 sul 2013. Stigmatizzare la decrescita infelice è la scarsa attrattività dei titoli in top 3, top 5 e top 10: nel 2014 hanno fatto rispettivamente 34, 39 e 64 milioni, perdendone ben 41, 54 e 60 sul 2013. Ribadiamo, il film-evento non è importante, è tutto: “Il pubblico non ha tradito, a tradire semmai è stata l’offerta, priva nel 2014 di film-evento”. Lo afferma Redento Mori, curatore del Rapporto “Il mercato e l’Industria del Cinema in Italia”, giunto alla settima edizione. Editato da Direzione Generale Cinema del Ministero dei Beni Culturali e Fondazione Ente dello Spettacolo, analizza il territorio e delinea una carta buona per non perdersi e, possibilmente, ripartire sulla strada giusta: il primo ad averne bisogno è il cinema italiano, passato in un anno dal 31,16% al 27,76% di quota di mercato. Possiamo fare di peggio, e lo faremo presto: “Nel 2015 la fetta di mercato dei nostri film – dice Nicola Borrelli, direttore Cinema del MiBACT – rischia di scivolare al 22%, sotto la media europea. Che vogliamo fare, invertire la rotta, con la collaborazione di tutti gli attori della filiera, o continuare a vivacchiare?”. La seconda che ha detto, perché i vasi comunicanti non abitano qua, il cinema fatto in Italiaoggi ha un titolo d’elezione, Io sono un autarchico: investitori stranieri in fuga (-47% sul 2013), co-produzioni in caduta libera (7 nel 2014, erano 34 nel 2009!) e sempre più povere (2,53 milioni di euro il costo medio del 2014, erano 7 nel 2013).
Non c’è da stupirsi, dunque, se ci riscopriamo piccini piccini: i 69 film d’iniziativa italiana prodotti con budget inferiore a 200mila euro rappresentano il 36% del totale (194), i 25 costati oltre tre milioni e mezzo solo il 13%. Chiariamo, poveri ma belli non è la via d’uscita, al contrario, il nostro “minimismo” produttivo, e ancor prima ideativo e creativo, ha poco a che fare con la bellezza e la qualità: servono strategie, servono sinergie, soprattutto, servirebbe unire le forze per un obiettivo comune. Per esempio, che dire dei due mercati, quello alla Mostra di Venezia e quello della Festa di Roma: strabismo o strabismo?

martedì 14 luglio 2015

I 75 anni di Renato Pozzetto, dal Derby al cinema

Renato Pozzetto compie 75  anni. Nato a Laveno-Mombello il 14 luglio 1940, l'attore milanese è popolare sin dalla meta' degli anni '60 ed e' considerato, con Cochi Ponzoni, il capostipite della comicita' surreale.  Ha iniziato nel '64 come cantastorie accanto a Ponzoni fondando poi il 'Cab '64' con Enzo Jannacci, Raffaele Andrasi, Lino Toffolo e Bruno Lauzi. Gli inizi sono nei cabaret milanesi, poi e' arrivato il successo televisivo con ''Quelli della domenica''. La comicita' di Renato Pozzetto, cosi' come quella di Cochi Ponzoni, e' intesa in maniera surreale ed e' a tutt'oggi la base di gag, scenette e battute portate al successo dai mattatori del nuovo ridere come Aldo, Giovanni e Giacomo che lo stesso Pozzetto ritiene suoi eredi ideali, ma anche Antonio Albanese e Paolo Rossi.
Battute, tormentoni, tic lanciati da Cochi e Renato nelle trasmissioni di Raidue che ospitarono la coppia, divennero autentici fenomeni di costume facendo di loro il sodalizio piu' popolare della tv del tempo. In sodalizio con Enzo Iannacci, inoltre, fusero per primi le suggestioni della musica con quelle della risata, secondo uno schema rimasto da allora nel costume televisivo.
Nel '74, all'apice del successo, Pozzetto ha scelto la strada solistica, divenendo protagonista di decine di film-commedia di buon successo commerciale, oltre che pilota di rally per hobby. A distanza di 25 anni Renato Pozzetto e Cochi Ponzoni sono tornati a fare coppia insieme, con la fiction ''Nebbia in Val Padana'', fedele al loro stile comico

lunedì 6 luglio 2015

"Fuori controllo" con Mel Gibson


Fuori controllo a prima vista può sembrare un altro rappresentante del filonerevenge-movie, quello per intenderci di Charles Bronson e del suo vendicativo e iperviolento Giustiziere della notte, in realtà il film miscela thriller politico, action, poliziesco in un godibile mix interpretato da un intenso e tormentato Mel Gibson, l'attore australiano sorprendentemente immune da ogni artifizio chirurgico fa dei vistosi segni dell'età indubbia virtù caratterizzando un personaggio dolente ben lungi dal mostrarsi allo spettatore come una sorta di vendicatore o deviato vigilante, sullo schermo non si scorge null’altro che un padre furioso e devastato.
Il regista Martin Campbell veterano del cinema di genere, all'attivo per lui un un paio di 007, l’avventuroso La maschera di Zorro e il cinecomic Lanterna verde, non si lascia tentare dalla violenza tout-court da "angelo vendicatore", ne tantomeno dalla spettacolarizzazione formato action di molti thriller di ultima generazione, Campbell gioca invece la carta vincente del formato thriller, svela le carte lentamente, inserisce oculatamente perle di violenza estrema e alla fine confeziona un titolo godibile, in cui gli si può anche perdonare un finale che indugia in un'enfatica retorica da espiazione. 

sabato 4 luglio 2015

Ritorno al futuro compie 30 anni e noi facciamo un gioco d'immaginazione

Ritorno al futuro uscì negli Usa il 3 luglio del 1985: il film di Robert Zemeckis con Michael J. Fox e Christopher Lloyd compie 30 anni, ma proprio questo compleanno ha un curioso valore simbolico.
Sappiamo tutti che il lasso temporale di 30 anni ha un significato specifico nella trama del film, perché Marty McFly torna indietro dal 1985 al 1955, scoprendo un'America diversa, scontrandosi con una mentalità differente. Oggi non possiamo fare a meno di notare che ci separano da quel lontano 1985 esattamente i 30 anni che separavano Marty dal 1955!Rivedere nel 2015 il primo Ritorno al futuro significa ormai viaggiare nel tempo due volte! Gli ultimi trent'anni pesano meno degli altri? Forse no.
Robert Zemeckis ha di recente escluso categoricamente un remake del film: insieme al cosceneggiatore Bob Gale deve per contratto apporre la sua firma a ogni ulteriore uso del marchio in ambito cinematografico, ed è per nostra fortuna inamovibile. "Sul nostro cadavere", sono state le sue testuali parole. Il che ci permette di creare nella nostra testa un immaginario remake senza ansia e senza pensare alla sostituzione di insostituibili attori, pensando solo alle dinamiche della vicenda. Quali elementi bisognerebbe aggiornare in un ipotetico remake? Quali invece non sono invecchiati e si potrebbero lasciare intatti? E' un gioco che costruiamo solo sul festeggiato, cioè sul primo capitolo della trilogia.
Ve l'immaginate un mondo senza internet?
Gli elementi da cambiare, immaginando un Marty attuale, sarebbero tanti. Il nostro eroe vuole sfondare nel mondo della musica e medita di mandare il nastro a una casa discografica: ora si aprirebbe un canale YouTube e/o spererebbe in un talent. I giudici non sarebbero solo quelli della sua scuola... Suo padre poi avrebbe cercato disperatamente di piazzare un libro di fantascienza autopubblicato.
In tutto il film di Zemeckis, per rintracciare qualcuno, bisogna immaginare dove possa essere e chiamarlo col telefono fisso, oppure organizzare appuntamenti di persona: sembra incredibile, ma nell'epoca pre-cellulari facevamo tutti così! C'è anche da scommettere che, stupefatto dal trovarsi nella Hill Valley del 1985, la prima reazione del nostro eroe non sarebbe quella di cercare un giornale per vedere che giorno è: controllerebbe sullo smartphone, prima di realizzare con orrore che non prende! Uno smartphone nel 1985 non avrebbe campo e non avrebbe internet a cui collegarsi, ma potrebbe mantenere informazioni utili, tipo il giorno e l'ora del fatidico fulmine, sempre ammesso che Marty prima di tornare indietro nel tempo abbia visitato il sito relativo... e non abbia svuotato la cache! Immaginate la suspense. La foto dei suoi fratelli che scompaiono sarebbe ovviamente digitale, presente nello stesso telefono.
Il Doc del 2015 otterebbe sempre il plutonio o equivalente da loschi indidui, ma via internet, con tecniche di hacking per non farsi beccare: agli occhi del Doc del 1985 sarebbero procedure da intelligence, difficili da spiegare.
E il vestiario? Forse Marty non avrebbe troppi problemi, visto che la moda degli anni Ottanta a ondate viene riproposta ai giorni nostri, di sicuro però rimarrebbe a bocca aperta di fronte ai monumentali capelli cotonati delle ragazze...
In un 1985 in cui un nero è sindaco di Hill Valley, dire che Obama è il presidente degli Stati Uniti nel 2015 avrebbe un effetto comunque devastante: forse non al livello della citazione di Ronald Reagan nel vero film, ma poco ci manca.
In città nel 1985 ci sarebbe una sala giochi con vari coin-op: Marty al massimo conoscerebbe la grafica dai grandi pixel per alcune sottotendenze retrò dei videogame attuali. Si comporterebbe con i vecchi videogiochi come il Marty del vero film si comportava con le "comiche in cassetta" in casa Baines.
Il Marty del 2015 rimarrebbe probabilmente anche allibito nel vedere un cinema porno in pieno centro, come accade nel 1985 in Ritorno al futuro: nel 2015 non solo i cinema in generale stanno sparendo dai piccoli centri in favore delle multisale periferiche, ma il porno stesso ha traslocato su internet e chi vuole si organizza le sconcezze in casa.
Chiunque di voi che sia più attento al sociale o alla storia potrebbe partecipare a questo gioco, ipotizzando questo remake "a epoche modificate": sarebbe una maniera originale di celebrare i trent'anni di un film altrettanto originale. Una volta che abbiamo riflettuto sui contrasti, è però ancora più intrigante riflettere su ciò che funziona sempre e comunque, il vero segreto diRitorno al futuro...
Storia e personaggi sempreverdi
Può apparire ovvio, ma vale la pena rifletterci: le maschere e i temi di Ritorno al futurotravalicano le epoche, quindi il nostro remake immaginario non avrebbe bisogno di modificare alcunché. Marty è un ragazzo qualunque che sogna, non è particolarmente dotato e non è nemmeno un perdente a tutto tondo: è eterno, così com'è eterna la sua nemesi, Biff il bullo. Sappiamo tutti quale sia la condizione più frequente della mamma dei cretini, un Biff è una certezza nel disegno del cosmo. Oggi più che nel 1985, i genitori di Marty potrebbero inoltre mostrare insicurezze e fallimento senza nemmeno essere dipinti necessariamente come tonti (George) o alcolisti (Lorraine), anche se in America il problema dell'alcolismo è rimasto grave e sentito dalla collettività.
I personaggi di George e Doc s'inerpicano per la strada della realizzazione del sè, nello specifico della realizzazione del creativo. Ci vuole coraggio per essere se stessi e ci vuole ancora più coraggio per esserlo in modo diverso dalla massa: George che cambia la sua vita con un pugno, rivendicando la propria sensibilità, è storia, ma in questo senso bisogna fare attenzione anche al buon vecchio Doc Brown.
Doc funziona perché l'apparizione di Marty nel passato gli conferma la sua identità di creativo: sotto sotto è consapevole di poter essere un imbranato, ma ora sa che inventerà qualcosa... e lo dichiara estatico a Marty. E' il desiderio della conferma, che nella vita reale è un'amara oscura scommessa a lungo termine, ma che una storia sul viaggio nel tempo può comprimere in un'ideale pacca sulla spalla di un'ora e mezza.
Su tutto, la sicurezza degli affetti, familiari e non (amiciza, fiducia, amore), e la difficoltà del ruolo di genitori, che porta a cancellare in modo semiconsapevole ciò che si provava da giovani: niente di tutto questo invecchia.
Dopotutto, la nostaglia che negli anni Ottanta c'era per l'America ingenua dei Cinquanta è simile a quella che c'è oggi proprio per gli Ottanta. Dopo trent'anni, Ritorno al futuro è quindinostalgia al quadrato, letteralmente.

mercoledì 1 luglio 2015

Ted 2

In crisi con sua moglie Tami-Lynn, Ted pensa bene di avere un figlio con lei, sperando che un nuovo nato possa riavvicinarli. Per farlo dovrà ricorrere all'inseminazione artificiale, dopo diverse richieste e tentativi di aggiudicarsi del seme "famoso", la scelta del donatore ricadrà sull'amico di una vita: John. Nel compilare tutta la documentazione necessaria però il governo si accorgerà di non aver mai legiferato sullo status di Ted. È un essere umano o una proprietà? Un processo lo deciderà e la casa di giocattoli Hasbro ha tutto l'interesse che la sentenza affermi che Ted è una proprietà. In quel caso infatti sarebbe una sua proprietà e potrebbe riprenderselo, aprirlo, scoprire come mai vive e infine replicarlo in serie.
Al secondo capitolo della storia di Ted, l'orsacchiotto di peluche che prende vita per rimanere sempre insieme al suo proprietario, crescendo con lui e diventandone il migliore amico, l'asse del film muta. Non è più John il protagonista ma Ted e la sua grottesca lotta per essere riconosciuto come umano. Il pretesto della grande corsa che dopo il primo quarto di film impegna i tre protagonisti (oltre ai due amici c'è anche il più classico dei personaggi aggiunti, ovvero l'avvocato appassionato d'erba di Amanda Seyfried) è dunque la scoperta di cosa renda umano gli umani e quindi anche Ted. L'esito sarà abbastanza banale ma condito, come il resto del film, di un umorismo dai tempi e dalle trovate folgoranti.
Seth MacFarlane ha il merito di scrivere, dirigere e interpretare (c'è lui dietro al performance capture e al doppiaggio dell'orsacchiotto) le gag più note come se fossero nuove, rinfrescando sia la tradizione più ovvia del cinema comico, le gag fisiche e di montaggio, che quella più moderna da lui affinata, fondata sul gioco con la cultura pop e le celebrità (alcune delle quali fanno qui dei cammei abbastanza stiracchiati) e sui bersagli più spinosi (in una scena molto efficace i due amici sfidano dei comici a far ridere su Charlie Hebdo, l'11 Settembre o Bill Cosby, di fatto facendo loro stessi della comicità sull'intoccabilità di simili tematiche).
Privo della forza sentimentale e metaforica del primo film, a Ted 2 non interessa portare ancora avanti il discorso sugli adulti rimasti ragazzini portandosi effettivamente dietro l'amico immaginario cresciuto assieme a loro, ma preferisce virare sul terreno del surreale puro, cercando le sole risate e la rappresentazione dello spettatore contemporaneo. Non c'è infatti dubbio sul fatto che sia il primo che il secondo Ted siano le opere moderne che meglio mostrano, criticano e raccontano spirito, idiozia e sogni del target ad oggi prediletto dagli studios hollywoodiani. Pronti a masturbare un eroe del football ("Non so se sono all'altezza! Lui merita il meglio!") come a fermarsi durante una furiosa ricerca per ascoltare l'annuncio di chi sarà il prossimo attore ad interpretare Superman ("Jonah Hill!" - "Dannazione!") e infastiditi nel dover correggere ogni volta chi non distingue Guerre stellari da Star trek o non ha visto Rocky III, John e Ted sono l'evoluzione dei Clerks di Kevin Smith. Mentre gli impiegati in bianco e nero negli anni '90 annunciavano il punto di riferimento futuro per il cinema americano di fatto raccontando la realtà, i due amici fattoni di Seth MacFarlane santificano quel tipo di cultura e di atteggiamento verso la vita in un tripudio demenziale, una parodia della realtà che mette la lente d'ingrandimento su alcune sue caratteristiche. Privi della vitalità che una volta si sarebbe associata ad una simile canonizzazione (non muoiono appresso alle donne nè hanno pulsioni fisiche forsennate) i due uomini medi di Ted 2 mettono in scena non solo il proprio uditorio ma soprattutto il simulacro del pubblico che l'industria moderna ha in testa, quello che alla fine raggiungono e a cui si uniscono nel Comic-Con.

lunedì 29 giugno 2015

Max, da cane eroe a star del cinema

Dalla guerra, quella vera, a una storia sul grande schermo. Si è trasformata così la vita di Moby ora star del cinema grazie al film “Max” che lo vede protagonista. Ma prima della finzione questo quattrozampe ha vissuto veramente le brutture dei campi di battaglia. Impiegato fra le fila della Marina statunitense in Afghanistan, Moby è stato anche ferito: un proiettile lo ha colpito all’altezza dell’occhio destro, ma per fortuna non gli ha lasciato danni fisici permanenti. 
Come molti altri veterani bipedi, però, anche Moby non è riuscito a lasciarsi alle spalle le esperienze vissute: soffre di disturbi da stress post-traumatico e rumori come quelli dei fuochi d’artificio lo terrorizzano perché gli ricordano le esplosioni. Anche per questo alcuni responsabili delle associazioni dei veterani di guerra sperano che questo film possa aiutare la gente a comprendere le difficoltà di chi torna dalla guerra e di che cosa voglia realmente dire vivere con un disturbo post-traumatico da stress (PTSD). 
Il film “Max” racconta la storia di un giovane adolescente che si trova ad affrontare una tragica perdita in famiglia e che trova amicizia e protezione in un eroico cane soldato appartenuto al fratello caduto, un Marine degli Stati Uniti che ha combattuto nella guerra in Afghanistan. Il soldato era l’unico che poteva toccarlo, che poteva lavorarci insieme. Nessun altro era in grado di avvicinarlo. Un rapporto che, poco per volta, si è trasferito al ragazzino. Un film commovente, ma anche pieno di avventura quando i due si trovano ad avere a che fare con un sinistro militare che arriva in città. 

mercoledì 24 giugno 2015

Terminator Genisys


2029, John Connor è al comando della lotta contro le macchine. É sul punto di vincere la battaglia, ma le spie TECOM gli rivelano l'intenzione da parte di Skynet di attaccarlo sul duplice fronte passato/futuro. Connor è costretto a inviare il fidato Kyle Reese indietro nel tempo per salvare la vita di sua madre Sarah Connor e garantire la propria esistenza. Reese trova una Sarah rimasta orfana di un Terminator all'età di 9 anni e allevata da un altro Terminator, interpretato da Schwarzenegger, programmato per proteggerla e per addestrarla ad affrontare il suo destino. Destino che lei cerca categoricamente di sfuggire.




lunedì 22 giugno 2015

Morta Laura Antonelli, icona sexy del cinema: "Avvisate Lino Banfi e Claudia Koll"

L'attrice, protagonista del film cult "Malizia", è scomparsa dopo un infarto a 73 anni: è stata trovata in casa dalla colf

Il fratello Claudio, l'attore Lino Banfi, l'ex attrice Claudia Koll e uno dei parroci di Ladispoli: sono gli ultimi amici, quelli veri, che l'attrice ha chiesto di chiamare quando sarebbe morta. Lo ha scritto su un biglietto, racconta l'assessore ai servizi sociali del Comune di Ladispoli Roberto Ussia. "Credo che i funerali non si potranno tenere prima di giovedì-venerdì - ha detto l'assessore - perché dobbiamo attendere l'arrivo del fratello Claudio che vive in Canada. La tutela legale del Comune (era stata interdetta ed i suoi tutori erano il sindaco di Ladispoli Crescenzo Palliotta e il suo avvocato Mario Paggi e dal 2009 era sotto tutela dei servizi sociali, ndr) decade nel momento della morte e quindi sarà il fratello a stabilire tempi e modi per l'ultimo saluto". 

Per molti l'immagine della Antonelli rimarrà sempre legata alla vestaglietta, succinta e ammiccante, che Salvatore Samperi le aveva imposto per il personaggio della cameriera di "Malizia" nel 1973 (Nastro d'Argento come migliore attrice protagonista e Globo d'oro come miglior attrice rivelazione), ma negli ultimi anni la vita dell'attrice, sex symbol per eccellenza del cinema italiano degli anni '60 e '70, è stata segnata dalla vicenda giudiziaria iniziata il 27 aprile del 1991, quando nella sua villa di Cerveteri furono trovate diverse dosi di cocaina. Un'odissea conclusasi nove anni dopo con l'assoluzione della Antonelli, alla quale è stato riconosciuto anche il risarcimento da parte dello Stato. Depressa per le conseguenze di un intervento di chirurgia plastica dalla quale era uscita con il volto deturpato, alle prese con la solitudine dopo il fallimento di alcune relazioni sentimentali, Laura aveva cercato conforto prima nella cocaina e dopo nella fede.

sabato 20 giugno 2015

Diamante nero e gli altri film in uscita al cinema, 18 giugno 2015

Arrivano in sala il racconto di formazione di Céline Sciamma, l'horror digitale "Unfriended" e la commedia d'azione "Fuga in tacchi a spillo"

Céline Sciamma, regista francese che aveva affrontato la ricerca della propria acerba identità sessuale in Tomboy, torna con sensibilità sulle tematiche giovanili con Diamante nero, rappresentando il processo di formazione di una ragazza delle banlieu tra disagi, speranze, illusioni. 
Diversi titoli in arrivo dagli States: l'horror Unfriended interamente ambientato sullo schermo di un computer; la storia di una famiglia tutta matta con un padre bipolare (Mark RuffaloTeneramente folle (Infinitely Polar Bear); la commedia d'azione Fuga in tacchi a spillo conReese Witherspoon poliziotta molto rigida alle prese con la sexy vedova (Sofia Vergara) di un boss da proteggere; il thriller La regola del gioco vede Jeremy Renner nei panni di reporter che scopre un collegamento tra i servizi segreti statunitensi e il traffico di cocaina del Sudamerica.
Parlano italiano il doc Nessuno siamo perfetti sul creatore di Dylan Dog Tiziano Sclavi e la commedia di Carlo Vanzina con Roaul Bova Torno indietro e cambio vita. Per i più piccoli ecco il film d'animazione Albert e il diamante magico, tratto dal libro omonimo dello scrittore danese Ole Lund Kirkegaard